
I nomi delle cose: edizione bagno
Chi è che decide perché le cose si chiamano come si chiamano?
Perché si chiama vespasiano? Perché si scrive WC? Potevamo chiamarla in altro modo, invece che carta igienica?
Anche riguardo l’origine delle parole del bagno, i linguisti e gli etimologici danno due ipotesi, noi possiamo con sicurezza farne una terza. Ma andiamo con ordine.
Ipotesi uno: chi lo inventa, lo battezza
È una specie di diritto di paternità, del tipo “ti ho creato, quindi ti chiamo come meglio credo.” Prendiamo il bidet: l’artigiano della corte reale francese che l’ha inventato - forse il mobilista Christophe Des Rosiers - lo chiamò subito bidet per somiglianza con il movimento di chi monta su un pony. Il nome si usa ancora oggi, dato che si preferisce litigare su altro (ad esempio, su chi ce l’ha e chi no). Idem per il WC. L’espressione water closet si usava già quando, nel XIX secolo, l’ingegnere inglese Thomas Crapper perfezionò il sistema di scarico del gabinetto ad acqua. La sigla si fissa nell’uso comune con la diffusione del prodotto industriale. Ha fatto un giro più lungo la parola vespasiano (). “L’orinatoio pubblico a forma di garitta” - così il dizionario - eredita il nome dell’imperatore romano del I secolo d.C. che introdusse una tassa sull’urina raccolta nei bagni pubblici, la quale veniva usata dalla filiera tessile. Possiamo dire che volente o nolente Cesare Vespasiano Augusto si è trovato nel mezzo delle questioni linguistiche.
Ipotesi due: chi lo usa, lo nomina
Più interessante è però la consuetudine linguistica, quando cioè le persone, a forza di usare espressioni colloquiali, danno vita alla cosiddetta lingua d’uso. Questo processo è bene esemplificato dalla lingua inglese: riservata quando ha elegantemente rinominato la toilette restroom (stanza del riposo), oppure pratica quando il bagno lo chiama loo, richiamandosi al grido gardyloo! con il quale a Edimburgo si avvisava di non passare sotto le finestre nel momento di svuotamento dei secchi dei bisogni.
Ipotesi casalinga: a ciascuno il suo nome
Poi, certo, c’è l’uso personale: che non fa lingua, ma esiste. Perché tutti abbiamo una vera e propria mitologia lessicale. Tanto che, se potessimo fare un censimento, troveremmo probabilmente tante denominazioni del water quante sono le famiglie italiane. E allora proprio il water diventa un trono, e giustamente lo scopino si fa scettro. La stanza da bagno diventa pensatoio oppure sala da lettura. È con il linguaggio che si addomestica l’imbarazzo: con un soprannome o una metafora, togliamo peso alla realtà e la rendiamo nostra. In questo i neo genitori sono maestri assoluti, dato che inventano incessantemente nuovi modi per descrivere eufemisticamente le produzioni solide, liquide e gassosi dei loro bebè.
Ipotesi Sebach: i nomi che vengono dall’alto
E se la verità fosse un’altra? Se le parole del bagno fossero nate grazie alla creatività di chi, per primo, si è trovato davanti agli oggetti stessi? Per dire: vi siete mai chiesti perché il Sebach si chiama Sebach?
Nel tempo, c’è stato un curioso ribaltamento: non è più Sebach a indicare un bagno mobile, è il bagno mobile che ormai si riconosce in Sebach. Quando un nome diventa sinonimo del prodotto, vuol dire che ha fatto centro come Scottex, Biro o Post-it. Solo che nel nostro caso c’è dietro anche una storia fatta di chilometri di eventi, cantieri, concerti e viaggi (più o meno urgenti), di servizio puntuale e di un cuore – rovesciato – che non si dimentica. E qui c’è la risposta definitiva: